LA MADRE SUFFICIENTEMENTE BUONA E LA FUNZIONE MATERNA.

 Il pediatra e psicoanalista Winnicott, con l’espressione “madre sufficientemente buona”, voleva far passare la sensazione e l’idea che è importante per una madre non cercare di idealizzare il proprio ruolo, ossia, non volere essere perfetta, sapere che anche i suoi parziali fallimenti aiutano la crescita del bambino e che è importante riuscire a presentare creativamente, al bambino, il mondo a “piccole dosi” modulando il livello di frustrazione necessaria allo sviluppo.

La nascita di una madre.

Chi legge potrebbe pensare alla complessità di tutto ciò, ma c’è da ricordare che una madre alla nascita del figlio entra in uno stato di ricettività particolare, che Winnicott definisce “preoccupazione materna primaria”. <<Questo stato è una specie di malattia normale che è la base per sviluppare la potenziale capacità della madre di offrire un ambiente che sostenga il bambino e gli permetta di sperimentare un senso di onnipotenza in cui è come se egli fosse in grado magicamente di creare ciò di cui di volta in volta ha bisogno in una situazione di sicurezza e solo gradualmente potesse essere aiutato a uscire da questa situazione e ad accettare la disillusione>> (Civitarese, Ferro, 2018). Tale capacità della madre, che è soprattutto una funzione, è sintetizzata nei concetti teorici di holding e handling formulati sempre da Winnicott.  Ogden, psicoanalista contemporaneo, indica nella funzione di holding la capacità di fornire la continuità dell’essere nel tempo, nelle diverse fasi dello sviluppo e nelle mutevoli modalità intrapsichiche e interpersonali (Ferruta, 2017).

La funzione materna

Preoccupazione materna primaria, holding, handling possono essere sempre in funzione e in via di evoluzione all’interno di una relazione, e nella relazione madre bambino hanno un’importanza fondamentale nel periodo di dipendenza assoluta del bambino dalla madre. Come scrive Winnicott, in questo periodo di dipendenza assoluta, il bambino è spietato nei confronti della madre, prova un “amore spietato”. Il bambino <<non è prodotto per magia […] è un pericolo per il suo corpo […] una sfida alla precedente occupazione […] le ferisce capezzoli è spietato, la tratta come una feccia, una serva non pagata, una schiava, cerca di farle del male, la morde […] avendo ottenuto ciò che vuole, il bambino getta via la madre come una scorza d’arancia […] è sospettoso, rifiuta il buon cibo della madre e la fa dubitare di se stessa […] se  manca nei suoi confronti all’inizio la madre sa che il bambino gliela farà pagare per tutta la vita (Winnicott, 1949, trad. it. 1975, pp . 242-3). Ovviamente, questa spietatezza e questi comportamenti del bambino non sono da intendere come volontari e attribuibili a pensieri e idee, ma è come se fossero delle idee un po’ speciali, rudimentali, chiamiamole idee del corpo, e lo stesso si potrebbe dire per la madre che però ha una mente formata ma si trova in quello stato di “malattia normale” accennata sopra. Questa “spietatezza” del bambino mette a dura prova la madre che deve sopravvivere a tale spietatezza e all’ “odio” nei confronti del bambino, senza fare rivalse. <<La madre odia il bambino prima che il bambino sia in grado, dopo che una mente si sia formata, di odiare lei […] il bambino non può svilupparsi in un ambiente troppo sentimentale, e per amare deve imparare a odiare. Per sentirsi toccato dall’amore, deve sentirsi toccato anche dall’odio. Per questo deve poter esprimere la propria aggressività e anche in seguito, guardando indietro, deve potersi dire: “Ero spietato” (Civitarese, Ferro, 2018).

Dalla relazione madre bambino alle relazione psicoterapeutica.

Ora se provassimo a pensare che, quanto scritto rispetto la capacità della madre sufficientemente buona  e la sua funzione, sia possibile svilupparlo e “applicarlo”, in condizioni diverse dalle condizioni di gravidanza, maternità e genitorialità biologica, potremmo dire che anche un genitore adottivo potrebbe sperimentare e sviluppare tale capacità e funzione, o ancora, anche un padre potrebbe essere in grado di svolgere una funzione materna insieme a quella paterna e ciò potrebbe essere assimilabile anche ad una delle funzioni terapeutiche degli psicoterapeuti con orientamento psicodinamico (psicoanalitico). Ora, non tutti i genitori biologici, adottivi sono nello stato di sviluppare tale capacità e anche le madri biologiche che hanno avuto dei traumi, o relazioni traumatiche, possono trovarsi in difficoltà nello sviluppare la propria capacità e funzione materna nella relazione con il bambino. Gli psicoterapeuti devono studiare molto, fare un training e un’analisi personale per sviluppare le capacità e la funzione di cui si è scritto. Non a caso, Winnicott e altri psicoanalisti, vedono la relazione del bambino con la madre al centro della riflessione psicoanalitica-psicoterapeutica e questa relazione costituisce il modello privilegiato di ogni cura. I terapeuti con i pazienti più gravi possono percepire sentimenti di odio e paura. Questi sono pazienti che hanno avuto situazioni traumatiche nelle prime relazioni di vita e per questo non hanno mai imparato differenziare veramente l’odio dall’amore. Questa difficoltà a differenziare l’odio dall’amore si ripete nella relazione terapeutica ed investe, inconsciamente, la figura del terapeuta. Il terapeuta pressato da questi sentimenti di odio e di amore indifferenziati del paziente, non è autorizzato ad agire il proprio inconsapevole sadismo nei confronti del paziente, scambiandolo per odio giustificato. Se il terapeuta riesce a recuperare i sentimenti scissi di odio, alla fine della terapia potrà interpretarlo al paziente. Quando ciò è possibile, il terapeuta offre la possibilità al paziente di conquistare una visione integrata di sé e del proprio paesaggio interiore, come quella che ai sensi ci offrono degli oggetti della realtà esterna (Civitarese, Ferro, 2018).

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